La struttura a pochi passi da Lecce è stata autorizzata dal dipartimento Promozione della salute della Regione. Giuseppe Calabrese: "Abbiamo voluto dare il nostro contributo attivo nella lotta al virus, nella speranza di riuscire a tornare quanto prima alla normalità".

LECCE – L'Istituto di Medicina Nucleare Calabrese di Lecce è entrato a far parte della rete di vaccinazione anti COVID-19 in Puglia: la struttura ha ottenuto il via libera dalla Regione per la somministrazione delle dosi.

L'autorizzazione è arrivata nei giorni scorsi dal Dipartimento Promozione della salute diretto da Vito Montanaro dopo una riunione che si è svolta in videoconferenza per raccogliere le disponibilità a partecipare in maniera attiva alla campagna di vaccinazione avviata in Puglia.

La volontà di aderire è stata comunicata da Giuseppe Calabrese per l'Istituto di Medicina Nucleare Calabrese. Complessivamente i centri coinvolti tra Lecce e la provincia sono 28, stando a quanto risulta dall'elenco approvato dalla Regione. Per l'Istituto Calabrese l'associazione di riferimento è Arsota, nata nel 2018 come espressione delle strutture ospedaliere, territoriali e ambulatoriali presenti in Puglia.

"In questo modo abbiamo voluto offrire il nostro contributo alla campagna di vaccinazione che costituisce lo strumento prezioso di cui abbiamo disponibilità nella lotta contro il COVID-19", spiega Calabrese. "Ci siamo impegnati in prima persona e questo per noi è motivo di orgoglio che riconosce la professionalità del lavoro che svolgiamo da anni sul territorio per il garantire la salute dei nostri pazienti", prosegue Giuseppe Calabrese.

"L'augurio di tutti, è che si riesca a completare la copertura vaccinale nel più breve tempo possibile: la speranza è tornare alla vita normale a cui tutti abbiamo dovuto rinunciare da un anno a questa parte".

Colloquio con la dottoressa Anna Campobasso, specialista in Ostetricia e Ginecologia del poliambulatorio dell'Istituto Calabrese di Lecce: "È una fase fisiologica nella vita di ogni donna che può comportare cambiamenti nel fisico e nell'umore e che va affrontata senza paure".

LECCE – "La menopausa (cessazione definitiva del periodo riproduttivo e delle mestruazioni) è una fase fisiologica nella vita di ogni donna che può comportare cambiamenti fisici ed emotivi, ma va affrontata e vissuta in maniera consapevole e serena, avendo come punto di riferimento il ginecologo".

La dottoressa Anna Campobasso, specialista in Ostetricia e Ginecologia del poliambulatorio dell'Istituto Calabrese di Lecce, si occupa della linea ginecologica completa che affronta tutte le patologie ginecologiche (attraverso esami clinici, ecografici, colposcopie, biopsie e piccoli interventi ambulatoriali ecc.).

Per oltre 30 anni ha lavorato presso l'Unità Operativa di Ostetricia e Ginecologia del presidio ospedaliero Vito Fazzi del capoluogo salentino.

Ha vissuto e lavorato con le donne e per le donne, occupandosi di vari settori fra cui molto di menopausa, argomento tabù per più di qualcuna, rimasta impigliata in un retaggio culturale che certamente non giova a nessuno. Perché la menopausa è una tappa naturale che scandisce la vita di ognuna, sia pure con sfumature differenti di cui non bisogna avere paura o vergogna.

 

Dottoressa, cosa si intende per menopausa?

"Con il termine menopausa si fa riferimento alla cessazione, in via definitiva, dell'attività ovarica. Si verifica, quindi, la cessazione delle mestruazioni".

Quali sono i sintomi e cosa succede alle donne in menopausa?

"La sintomatologia può variare da donna a donna ma, in linea generale, si avvertono vampate di calore, instabilità umorale, stati di ansia, tristezza, irritabilità e insonnia (tutti sintomi legati al calo degli estrogeni).

I sintomi a medio termine riguardano la distrofia delle mucose dell'apparato genitale e urinario con conseguente secchezza vaginale, a volte incontinenza, calo della libido.

Più tardi ancora, in genere dopo qualche anno, compare l'osteopenia e poi l'osteoporosi. Molto spesso subentrano variazioni metaboliche con tendenza all'aumento del colesterolo, della glicemia (specie nelle donne geneticamente predisposte), un aumento del rischio cardiovascolare e una tendenza all'aumento di peso.

Solitamente sono proprio le vampate di calore il motivo principale per il quale le donne si rivolgono al ginecologo".

Quando una donna entra in menopausa?

"Si entra in menopausa un anno dopo l'ultima mestruazione. La fase che la precede viene indicata con il termine di climaterio e fa riferimento, più esattamente, al periodo di transizione contraddistinto da irregolarità mestruali. Si tratta di una fase che, in media, può durare uno o due anni".

C'è un'età di ingresso nella menopausa?

"La menopausa fisiologica avviene attorno ai 50 anni. Quando si è al di sotto dei 40 anni, si parla di menopausa precoce".

Come viene affrontata la menopausa dalle donne?

"Sono poche, purtroppo, le donne che accettano questa fase assolutamente fisiologica e che la vivono con consapevolezza. Molte, invece, la vivono con rassegnazione come se si trattasse di un castigo, una punizione e, per molte altre, menopausa è anche sinonimo di perdita di femminilità. Niente di più sbagliato. La menopausa è un passaggio naturale che va affrontato non solo dal punto di vista strettamente ginecologico ma in un'ottica di più ampio respiro".

Cosa intende per ottica di più ampio respiro?

"Le donne vanno ascoltate sempre e, invece, quella che dovrebbe essere la regola diventa un'eccezione. Ho conosciuto e visitato tante donne che non ne avevano mai parlato con il proprio medico di famiglia che, in molti casi, è il solo punto di riferimento. Spesso, addirittura, non erano nemmeno state indirizzate a sottoporsi agli esami di routine. Al contrario, ritengo che questo tipo di supporto sia fondamentale ed è questo il nostro compito".

Quanto è importante l'umore?

"È importantissimo. L'umore è un aspetto che non va mai tralasciato quando si parla di menopausa perché le donne attorno ai 50 anni si trovano a vivere situazioni familiari in cui avvengono cambiamenti evidenti come, ad esempio, la crescita dei figli che in alcuni casi possono lasciare l'abitazione della famiglia per andare a studiare o a lavorare altrove. È evidente, quindi, che le donne si trovano in una condizione di fragilità sul piano emotivo che spesso sfugge persino al medico".

Cosa possono fare le donne per vivere in maniera serena la menopausa? Possiamo dare tre consigli validi in linea generale?

"Innanzitutto, affrontare la menopausa sin da subito senza avere timore. Nella prima fase può essere sufficiente usare integratori vari in grado di migliorare la qualità della vita. Con il passare degli anni, invece, diventa più difficile riuscire a recuperare proprio perché si parte in ritardo.

In secondo luogo, mai rassegnarsi: è necessario che le donne capiscano che la menopausa non è la fine di tutto, non è una condanna, una pena o un supplizio divino. È semplicemente una fase naturale della vita di ognuna di noi che può anche essere un'occasione per riscoprire se stesse con consapevolezza e maturità.

Quello che, forse, è il miglior consiglio è appunto riprendere in mano la propria vita. Sotto questo aspetto, è molto importante aumentare l'attività fisica, quella più gradita, in maniera regolare durante la settimana anche se in precedenza non si è mai fatta, ridurre l'apporto alimentare ed, eventualmente, sospendere il fumo. Non va dimenticato che l'attività fisica ha effetti sul metabolismo e sull'umore, di conseguenza è fondamentale per raggiungere il giusto equilibrio psicofisico".

Ci sono esami particolari consigliati per le donne in menopausa?

"In via generale, se non ci sono patologie, è consigliabile un controllo metabolico regolare, il pap-test ogni due o tre anni, poi ecografie annuali per tenere sotto controllo utero e ovaie. Da non dimenticare la regolare mammografia e la densitometria ossea.

Ci sono trattamenti che possono essere seguiti?

"Sì, ma vanno valutati caso per caso, a seconda della situazione di ogni donna. Ed è per questo che torno a sottolineare l'estrema importanza della fase di ascolto delle donne: il ginecologo ha il dovere di ascoltare le paure, le ansie e i falsi convincimenti per spiegare in maniera chiara e leale cos'è la menopausa che certamente non significa terapia ormonale o effetti collaterali. Le terapie vanno da quelle ormonali sostitutive vere e proprie (valuterà lo specialista insieme con la donna gli eventuali vantaggi e svantaggi) a vari integratori che funzionano molto bene.

Ovviamente la terapia va sempre personalizzata. Il concetto principale è, in sintesi, che in questa fase della vita della donna non dobbiamo "curarla" ma dobbiamo, soprattutto, "prenderci cura di lei".

 

a cura di Comunicazione Sanitaria

Dalla dottoressa Laura Bruno, ginecologa dell'istituto Calabrese di Lecce, alcuni consigli validi per le donne di tutte le età: "Indagine ecografica almeno una volta l'anno".

LECCE – "Ogni donna avverte esigenze differenti, che variano in base all'età e alla particolare fase della vita, anche di coppia, che sta vivendo, in ogni caso è necessario sottoporsi periodicamente a visite di controllo ginecologico. E' il consiglio di base valido per tutte perché più i controlli avvengono con regolarità, maggiore diventa la prevenzione".

La dottoressa Laura Bruno, specializzata in Ginecologia ed Ostetricia, ha ambulatorio nell'Istituto Calabrese di Lecce: qui ogni mese incontra e visita un certo numero di donne di tutte le età. Ci sono le adolescenti accompagnate dalle mamme dopo la prima mestruazione, ci sono le donne desiderose di avere un figlio, quelle che non riescono ad averlo e temono ci sia un problema di infertilità, quelle che uno o più figli già li hanno e sono diventate zie e nonne, quelle che soffrono di endometriosi. I timori e le richieste sono differenti.

 

Dottoressa, c'è un'età giusta per prima visita ginecologica?

"L'età giusta dipende dall'esigenza di ogni donna. Va detto che sin dal menarca è possibile che le ragazze vadano incontro a diverse patologie. E' frequente che una ragazza che dopo il menarca voglia iniziare ad avere rapporti sessuali cominci a informarsi sulla pillola o su eventuali malattie che possono essere trasmesse durante i rapporti. Per questo motivo, la prevenzione inizia quasi da subito. E' importantissimo, ad esempio, il vaccino contro il papilloma virus, che si può somministrare già a partire dai 12 anni di età . Detto questo, è sempre l'età giusta per effettuare un controllo ginecologico".

Perché è importante fare il vaccino per papilloma virus?

"È fondamentale per la prevenzione del cancro della cervice uterina. È ormai certo che condizione necessaria per la comparsa del tumore del collo dell'utero è la presenza di alcuni ceppi di Papilloma virus. Dal 2017 abbiamo a disposizione un vaccino nonavalente che protegge da nove sierotipi capaci di indurre il cancro. Questo vaccino potrebbe prevenire circa il 90% dei tumori dipendenti da HPV.

Ovviamente, anche per le donne vaccinate è raccomandato lo screening per il tumore della cervice".

Ci sono limiti di età per questa tipologia di vaccino?

"Non c'è un vero e proprio limite massimo d'età per farlo, però ci sono dei limiti relativi l'offerta del sistema sanitario. Adesso, infatti, lo si può fare gratuitamente fino ai 26 anni. Ma anche una donna di 30 o 50 anni lo può fare, soprattutto se operata per una lesione grave del collo dell'utero; in questo caso infatti può essere prescritto".

Le visite ginecologiche sono importanti anche quando termina l'attività ovarica e cessano le mestruazioni?

"Una volta finite le mestruazioni, per le donne è ancora più importante la prevenzione attraverso visite ginecologiche, dato che non c'è una ritmicità che possa rilevare un campanello d'allarme.

La prevenzione del tumore all'ovaio va fatta, oltre che durante l'età fertile, anche dalla menopausa sino all'età senile, questo perché il cancro dell'ovaio è molto subdolo: la sintomatologia, purtroppo, si manifesta quando è già in atto qualcosa di importante".

Che tipo di controlli consiglia di eseguire e con quale frequenza?

"È molto importante fare un controllo una volta l'anno con indagine ecografica. Anche per la prevenzione del tumore dell'endometrio è molto importante il controllo ecografico in quanto, durante questo esame è possibile valutare lo spessore dell'endometrio, che è la mucosa che riveste le pareti della cavità interna dell'utero. Quando questi echi sono particolarmente spessi, echi che normalmente in menopausa devono essere lineari, significa che l'endometrio sta crescendo in modo anomalo. Si procede dunque a svolgere ulteriori indagini come l'isteroscopia: è importantissima per rilevare anche la presenza di polipi o di altre patologie endometriali".

Che differenza c'è tra tumore endometriale e endometriosi?

"Il tumore endometriale si sviluppa in corrispondenza dell'endometrio (quindi della mucosa che abbiamo detto riveste le pareti della cavità uterina), mentre endometriosi è una patologia che si riscontra all'interno dell'addome o sulle ovaie, ed è rappresentata dal moltiplicarsi di alcune cellule simili all'endometrio ma localizzate in modo anomalo all'esterno della cavità uterina. Queste cellule, rispondono come se fossero endometrio e sanguinano durante la mestruazione, provocando la formazione di quelle che vengono chiamate cisti cioccolato (cisti endometriosiche). L'endometriosi non è una patologia tumorale, ma a volte può comportarsi come tale per la capacità di diffondersi a diversi tessuti e organi della pelvi".

Ci sono altre forme di prevenzione in campo ginecologico?

"Sicuramente vi è una prevenzione relativa alle patologie sessualmente trasmesse: tutte le donne devono essere consapevoli che senza protezione possono andare incontro a infezioni importanti come l'infezione da clamidia o da micoplasma.

Si tratta di infezioni che possono provocare delle alterazioni a livello tubarico e compromettere anche possibilità di gravidanza".

E per la prevenzione di alcune patologie del pavimento pelvico?

"Incontinenza urinaria, urgenza minzionale, dolore pelvico cronico, vulvodinie , prolasso degli organi pelvici, algie o alterazioni perineali nel post-partum: sono diverse le patologie che possono insorgere per una disfunzione del pavimento pelvico, che è quella parte del nostro corpo che chiude in basso il bacino e che sostiene tutti gli organi pelvici. E' formata da un complesso sistema di muscoli, fasce, vasi sanguigni e terminazioni nervose. Quando si verificano alterazioni di questo sistema, avviene di conseguenza un'alterazione di organi come il retto, la vagina o la vescica e della loro normale funzione.Tutto ciò può provocare incontinenza sia da sforzo, che da urgenza, disfunzione di tipo sessuale, distocie durante il parto, alterazioni della sensibilità vulvare o altri tipi di patologie.

La prevenzione di queste forme di patologie e la cura avvengono tramite la riabilitazione del pavimento pelvico, che consiste nel recupero funzionale di questo sistema muscolare , così come si fa per altri distretti muscolari, avvalendosi di tecniche sia di chinesiterapia che di elettrostimolazione funzionale che si svolgono nel corso di una serie di sedute.

Da molto tempo mi dedico anche in questo campo della riabilitazione del pavimento pelvico che attualmente pratico presso l'Istituto dove è possibile eseguire tale terapia.

Queste tecniche sono molto importanti anche nel post-partum perché contribuiscono a rendere più tonico il pavimento pelvico sottoposto ad un lavoro particolare durante il parto e a evitare eventuali disfunzioni nel tempo".

Cos'è la colposcopia?

"È un'indagine di secondo livello, che è possibile fare anche qui da noi. L'esame si effettua in caso di esito anomalo del pap-test e consiste nell'osservare al microscopio il collo dell'utero e, successivamente, con reattivi particolari, evidenziare se ci sono o meno lesioni provocate dal papilloma virus. Inoltre è possibile eseguire una biopsia che permette l'esame istologico di eventuali lesioni . In base agli esiti riscontrati, ci sono dei protocolli da seguire".

In che modo è possibile affrontare la sterilità?

"Qui nell'istituto Calabrese svolgiamo controlli di primo livello. Eseguiamo ed indichiamo cioè le indagini necessarie per capire se ci siano o meno patologie della coppia. In base ai risultati si decide se continuare il percorso o inviare presso centri specializzati".

Usare la cannabis in ambito medico e terapeutico si può. È possibile anche in Italia dal 2006 per alcune patologie inserite in una lista stilata dal ministero della Salute e aggiornata nel 2015. Il binomio cannabis-medicina, per alcuni resta un tabù, figlio di una vecchia cultura proibizionista, ancora resistente, per altri, invece, è uno stimolo a proseguire nella ricerca e negli studi che, soprattutto in America hanno convinto anche i pazienti più anziani.

Poca informazioni e pregiudizi sull'uso della cannabis medica

A Lecce, nella sede dell'Istituto oncologico salentino Calabrese, il neurologo Giovanni Caggia è impegnato nel laboratorio dedicato alla cannabis terapeutica: è uno tra i primi realizzato in Italia ed è risultato degli studi che lo specialista conduce dal 2016, a tempo pieno, sulle neuroscienze e sulla terapia del dolore.

"Non è facile lavorare in questo settore, perché ci sono ancora pregiudizi da parte di alcuni colleghi medici quando si parla di cannabis, così come ci sono dubbi nell'opinione pubblica, dovuti a un discorso culturale, rispetto al quale ancora ridotto è l'apporto dell'informazione e della formazione professionale. Il risultato è che c'è ancora un retaggio mentale, per cui si pensa alla cannabis di strada che, invece, nulla ha a che vedere con quella riconosciuta dal ministero della Salute per curare alcune patologie".

Gli ambiti di applicazione della cannabis medica: la lista del ministero dell'Ambiente

La lista è tassativa. La prescrizione di cannabis ad uso medico in Italia è riconosciuta e ammessa nei seguenti ambiti stando al decreto ministeriale del 9 novembre 2015: "Dolore cronico, dolore associato a sclerosi multipla e a lesioni del midollo spinale; nausea e vomito causati da chemioterapia, radioterapia, terapie per HIV; stimolante dell’appetito nella cachessia, anoressia, perdita dell’appetito in pazienti oncologici o affetti da AIDS e nell’anoressia nervosa; l’effetto ipotensivo nel glaucoma; la riduzione dei movimenti involontari del corpo e facciali nella sindrome di Gilles de la Tourette".

L'esperienza professionale del neurologo Giovanni Caggia

"Attualmente mi sto dedicando alla cura di pazienti affetti da Alzheimer, insonnia e allucinazioni, oltre che di pazienti oncologici", dice il dottor Caggia. "La mia esperienza racconta di persone, donne e uomini, anziani e non, con sintomatologia dolorosa resistente ai farmaci", prosegue il neurologo. "Persone che, dopo una iniziale e legittima titubanza, e dopo una informazione corretta e completa, sono arrivate a scegliere la cannabis terapeutica. Ovviamente la cannabis terapeutica deve essere prescritta da un medico adeguatamente preparato e solo dopo aver preso visione del quadro complessivo del paziente", sottolinea Caggia.

Pazienti over 80 e bimbi di sette mesi curati con la cannabis terapeutica

In cura dal neurologo Caggia ci sono pazienti over 80 e persino bimbi che non hanno ancora spento la prima candelina. Stando un recente studio condotto dalla New York University, più di un milione e mezzo di over 65 hanno usato marijuana medica nell'ultimo anno (i risultati sono stati pubblicati da L'Espresso).

In California, nella contea di Orange, a Laguna Woods, prima città degli Stati Uniti a offrire marijuana a scopo medico, un pensionato di 74 anni ha fondato l'associazione Medical Cannabis Club, rivolta agli anziani. Per entrare a farne parte è necessario avere 55 anni: oggi il socio più vecchio, ha 103 anni.

"In linea generale non ci sono limiti di età per essere sottoposti a trattamenti medici con la cannabis terapeutica", dice lo specialista dell'istituto oncologici salentino Calabrese di Lecce. "Tra i miei pazienti, solo per fare due esempi, c'è un signore che di anni ne ha 85 e c'è un bambino di sette mesi con decine e decine di attacchi epilettici al giorno. In quest'ultimo caso, i farmaci non sono riusciti a permettere alcun controllo delle crisi epilettiche, rispetto alle quali, invece, l'impiego controllato della cannabis terapeutica ha dato importanti risultati come testimoniano gli stessi genitori", spiega. "Ci sono mamme e papà che hanno iniziato ad avvicinarsi alla letteratura scientifica in materia di cannabis medica, hanno letto testi e fatto domande e questo aiuta tanto nella conoscenza".

Le associazioni di pazienti: interrogativi e spunti per la conoscenza della cannabis per uso medico

Un aiuto a superare gli steccati che impediscono la diffusione del sapere, arriva da alcune associazioni di pazienti, molto attive nel territorio salentino. "Ne conosco alcune", dice Caggia. "Mi hanno contattato per chiedere informazioni, hanno fatto domande: ecco, è dagli interrogativi di chi vuole sapere che possono nascere spunti utili per noi medici e allo stesso tempo per il legislatore, perché non possono essere taciute alcune difficoltà che oggi incontra chi è sottoposto a terapia con cannabis medica. Prima fra tutte, la disponibilità della stessa cannabis nelle farmacie".

La produzione di cannabis terapeutica in Italia: Stabilimento Chimico Militare di Firenze

In Italia la produzione è affidata allo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze: in una prima fase, c'era solo un prodotto, quello chiamato Cannabis FM2, ora è stato aggiunto il secondo chiamato Cannabis FM1. L'FM 2 contiene THC a concentrazioni che variano tra il 5 e l'8 per cento e CBD tra il 7,5 e il 12 per cento; l'FM 1 contiene una concentrazione di THC che varia dal 13 al 20 per cento e di CBD inferiore all'1 per cento.

"Stando agli ultimi dati, la produzione oscilla tra 200-300 chilogrammi l'anno, ma si tratta di una quantità non sufficiente, tanto è vero che è stata autorizzata l'importazione".

Le importazioni di cannabis terapeutica da Olanda e Canada

Sul fronte dell'acquisto dall'estero, l'Italia importa dall'Olanda, tramite l'Office for Medicinal Cannabis del ministero della Salute olandese, e dal Canada. "In entrambi i casi, le importazioni sono contingentate, cosa che, per esempio, non avviene in Germania", dice il neurologo Caggia. In altri Paesi, poi, ci sono più di due varietà: "In Olanda ce ne sono cinque, in Germania il doppio e in Israele 14".

La legislazione nazionale e le differenze tra le regionali

Un altro aspetto che alimenta confusione è costituito dal fatto che in Italia poiché il sistema sanitario è declinato su scala regionale, anche sul fronte dell'uso della cannabis terapeutica ci sono differenze. Ogni Regione può legiferare entro la cornice tracciata dallo Stato, il puzzle quindi si presenta a tinte differenti. "La Calabria è tra le regioni che sono rimaste indietro perché non c'è ancora una legge in materia, in Puglia invece esiste", dice Caggia a titolo di esempio. "La Puglia è stata tra le prime Regioni a legiferare e ad approvare i decreti attuativi".

In ogni caso, è sempre necessaria la ricetta medica per avere la cannabis terapeutica gratis, in una farmacia abilitata alla vendita di prodotti galenici. Prodotti che possono essere di diverse forme: cartine, capsule orali, oli. Dipende dalla patologia e quindi dalla terapia a cui il paziente viene ammesso. "Il paziente, inoltre, deve dimostrare che le altre terapie non hanno funzionato: spetta al medico la valutazione della documentazione ", aggiunge Caggia. "Aspetto che non va sottovalutato affatto, perché c'è il rischio di alimentare un paradosso, a mio avviso, tutto Italiano, costringendo il paziente a un calvario".

La cannabis terapeutica in combinazione con la stimolazione transcranica magnetica

"Infine, una riflessione: se è vero che ci sono effetti collaterali per l'uso della cannabis, è altrettanto vero che la stessa cannabis è uno strumento importante nella cura di una serie di malattie, tra le quali vanno comprese anche quelle neuro degenerative a spettro autistico non riconosciute oggi dal ministero della Sanità come malattie immuni", dice Caggia. "Da ultimo, l'esperienza maturata personalmente in questi mesi, ha permesso di toccare con mano i risultati positivi conseguiti nelle terapie per la cura da dipendenze, come quella da cocaina, in combinazione con la stimolazione transcranica magnetica".

Anche la stimolazione transcranica magnetica (TMS), trattamento terapeutico innovativo non invasivo e indolore, è possibile presso l'Istituto oncologico salentino Calabrese di Lecce.

L'Istituto Oncologico Salentino - Medicina Nucleare Calabrese di Lecce, struttura sanitaria privata accreditata con il SSN, azienda leader nella diagnostica ad elevata tecnologia, cerca due figure professionali ambosessi (D.Lgs 198/2006) da inserire immediatamente in organico. In particolare:

Le candidature possono essere inviate esclusivamente andando alla pagina Lavora con noi.

Vi preghiamo di:

TMS è una sigla che costituisce un'importante novità in campo medico per pazienti finiti nel vortice delle dipendenze, come alcol, droga e gioco, o che sono scivolati nel buio della depressione, anche a causa delle continue e prolungate restrizioni per il Covid, o che hanno iniziato a combattere contro l'Alzheimer. TMS è l'acronimo di Stimolazione magnetica transcranica, un trattamento innovativo da oggi possibile presso l'istituto oncologico salentino Calabrese di Lecce, struttura sanitaria con accreditamento istituzionale al sistema sanitario nazionale.

L'Istituto oncologico salentino Calabrese

L'istituto Calabrese ha investito per acquistare un macchinario, risultato dell'applicazione della tecnologia più innovativa, e ha aggiunto la stimolazione magnetica trasncranica ai servizi di diagnostica a elevata tecnologia con PET/CT e gamma camera per la prevenzione e diagnosi delle malattie oncologiche e ai reparti di senologia, ginecologia che, nel corso degli anni, lo hanno reso un punto di riferimento nel campo della medicina nucleare e della diagnostica per immagini.

Guardando alla tecnologia e ai progressi compiuti nel campo della medicina, la nuova terapia è stata affidata al neurologo Giovanni Caggia: "La TMS è stata riconosciuta di recente dall'Unione Europea e, prima ancora, già nel 2008, dal più importante ente in materia di salute negli Stati uniti d'America, la FDA (Food and Ddrug Amministration, ndr), il che conferma l'assoluta sicurezza del trattamento", spiega in prima battuta il dottor Caggia.

Come avviene la stimolazione magnetica trasncranica

Caggia è stato uno tra i primi in Italia a studiare la TMS, la cui tecnica si basa sulla cosiddetta legge di Faraday, meglio conosciuta come legge dell'induzione elettromagnetica. A tenere a battesimo la TMS è stato un gruppo di ricercatori dell'università degli studi di Southampton a metà degli anni Ottanta. Da allora la ricerca è andata avanti e ha permesso di ampliare lo spettro dei trattamenti possibili per cure mediche e psichiatrice.

"Il trattamento avviene con uno stimolatore magnetico associato a una poltrona e non richiede il ricovero in una struttura sanitaria", spiega il neurologo. "Il funzionamento è alquanto semplice: viene usata una sonda mobile chiamata Coil, con tecnica non invasiva. Il paziente resta cosciente per tutta la durata della seduta e non sente dolore, prosegue Caggia. "La sonda viene sistemata in corrispondenza dell'area cerebrale da stimolare".

In passato, invece, per le tecniche di tipo elettroconvulsanti era necessario sottoporre il paziente ad anestesia generale. Con la TMS, invece, non solo il paziente resta sveglio durante la seduta, ma al termine può tornare al lavoro e riprendere la propria attività senza alcun tipo di ripercussione. Non ci sono controindicazioni neppure per la guida.

La stimolazione magnetica transcranica utilizza campi magnetici pulsanti in grado di attivare oppure sopprimere, a seconda delle esigenze, i centri celebrali ai quali sono associati una serie di disturbi che possono essere medici o psichiatrici.

Il trattamento per dipendenze, depressione, disturbi, Alzheimer e Acufene

Il trattamento viene usato per curare dipendenze, depressione e disturbi, Alzheimer e Acufene. "Il numero di sedute varia a seconda della tipologia di trattamento e della risposta del singolo paziente", spiega il neurologo Caggia. "In ogni caso, le fasi da seguire sono due: inizialmente si procede seguendo un protocollo d'attacco, poi c'è la fase del cosiddetto mantenimento. Solo per fare un esempio, per la depressione – in media – possono essere necessarie da quattro a sei sedute in una settimana".

"Va sottolineato – aggiunge il neurologo – che possono esserci situazioni in cui i farmaci non hanno funzionato e altre in cui possono avere controindicazioni. Ecco in questi casi, a maggior ragione, la risposta può arrivare dalla stimolazione magnetica transcranica. Per altro verso, invece, può essere utile lavorare su un doppio binario andando ad abbinare questa stimolazione al trattamento farmacologico".

Le dipendenze: alcol, droga, gioco e fumo

Quanto alle dipendenze, quella da alcol, stando ai dati dell'Istituto superiore di sanità, all'esito di una ricerca Istat, è una piaga diffusa sul territorio nazionale: sono quasi otto milioni gli italiani che soffrono di alcolismo. La stimolazione magnetica transcranica costituisce un trattamento innovativo per il quale occorre che il paziente sia sottoposto, in via preliminare, a visita gratuita allo scopo di svolgere un'analisi complessiva del quadro clinico e delle abitudini.

Il trattamento è stato testato anche per la dipendenza da sostanze stupefacenti e, in particolare cocaina: anche in questo caso, così come per il trattamento da dipendenza da alcol, viene garantita la privacy del paziente. Le altre dipendenze per le quali la lettura scientifica conferma l'importanza del trattamento innovativo sono quella da nicotina e più in generale da tabacco che l'Organizzazione mondiale della sanità ha qualificato come la più grande minaccia per la salute degli uomini nella regione europea. Non va dimenticato, infatti, che il fumo è alla base dei tumori che aggrediscono i polmoni e ha conseguenze sul cuore, aumentando i rischi di infarto e ictus. Il trattamento innovativo della stimolazione magnetica transcranica, è indicato anche per curare la dipendenza da gioco d'azzardo e in generale la ludopatia.

La depressione e i disturbi d'ansia

"Per quanto riguardai disturbi, la lettura scientifica ha mostrato l'applicazione del TMS per la cura della depressione, anche con riferimento a quella post parto, del disturbo d'ansia e della personalità e ancora del disturbo bipolare, oppure da stress post traumatico, o ancora ossessivo compulsivo", afferma Caggia.

"Per quel che riguarda i disturbi della personalità, è indicato in modo particolare per quelli di tipo compulsivo e dello spettro autistico. Lo stesso dicasi per il dolore neuropatico. L'evoluzione degli studi negli ultimi anni, inoltre, ha evidenziato, l'applicazione del TMS nell'ambito della terapia del dolore, anche in abbinamento alla prescrizione di cannabinoidi".

Pazienti malati di Alzheimer e demenza senile

Il TMS, inoltre, trova applicazione nei pazienti affetti da Alzheimer e demenza senile, problema che oggi riguarda 25 milioni di persone nel mondo. In questo caso, va precisato che il trattamento agisce in maniera tale da rallentare il peggioramento dei sintomi della demenza. Non è possibile, invece, bloccarli.

Infine, il trattamento è utile per chi soffre di acufene, il ronzio nelle orecchie, rispetto al quale ad oggi non è disponibile una cura specifica. Con la stimolazione magnetica transcranica è possibile alleviare l'acufene andando a modulare l'eccitabilità dei neuroni che si trovano nella corteccia uditiva.

L'istituto Calabrese rafforza la propria offerta nel campo della prevenzione senologica, con l'installazione del più innovativo sistema di ecografia mammaria automatizzata attualmente sul mercato.

Si tratta di Abus (Automated Breast Ultrasound System) di GE Healthcare, un'apparecchiatura in grado di garantire immagini di altissima qualità, caratterizzate da una notevole uniformità e risoluzione, grazie alla elevata potenza di elaborazione di segnali paralleli e alla tecnologia proprietaria di formazione del fascio ultrasonoro che realizza la continua messa a fuoco di ogni pixel.

L'architettura di imaging ABUS si avvale di un innovativo sistema software per processare l'immagine che garantisce concreti benefici sulle pazienti:

Nel caso in cui i tessuti mammari particolarmente densi, ad esempio, la mammografia tradizionale può non rilevare circa un terzo delle neoplasie e, stando agli ultimi dati disponibili, il 40% delle donne italiane ha un tessuto del seno denso che, in quanto tale, può mascherare la presenza di tumori e quindi limitare le prestazioni diagnostiche della mammografia. La sensibilità mammografica delle donne con seni densi è ridotta al 48 per cento con un rischio di contrazione del cancro al seno 4-6 volte maggiore rispetto alle altre donne. Tutto ciò costituisce un rischio per le donne che presentano questa caratteristica anatomica, in virtù dell'aumento della probabilità di un ritardo diagnostico e un conseguente aumento del tasso di mortalità.

Per questo motivo, nei casi in cui è necessario eseguire ulteriori accertamenti, in aggiunta alla mammografia, il sistema ABUS rappresenta una pratica alternativa per le donne con tessuto mammario denso. Affiancato alla mammografia, infatti, il sistema ABUS è in grado di migliorare la rilevazione dei tumori invasivi della mammella del 55 per cento rispetto all'utilizzo della sola mammografia.

Aver adottato il sistema di screening Abus consente all'Istituto Oncologico Salentino la possibilità di migliorare notevolmente la propria modalità di esecuzione dell'esame mammografico, già di per sé innovativo (clicca qui per saperne di più).

Va infine ricordato a tutte le donne che l'esame mammografico va effettuato ogni anno, abbinandolo all'esecuzione della ecografia mammaria e alla visita senologica. Il vantaggio di questi screening periodici è immenso: consente una diagnosi precoce della malattia, di aumentare il tasso di accuratezza diagnostica e, in definitiva, consente di vivere più serene e senza inutili angosce il futuro.

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